Un annuncio di lavoro postato sui social. Pochi dettagli, ma un’unica garanzia (almeno all’apparenza): il nome rinomato del bar che cerca personale di sala. Un locale storico e sempre affollato del centro città. Ed ecco che Luisa, giovane mamma giuglianese, decide di accettare e concordare un appuntamento per saperne di più. Ma una volta arrivata apprende la spiacevole sorpresa: «Era un lavoro da schiavi», spiega. In famiglia sono in quattro e i soldi, si sa, non bastano mai. Il marito è un infermiere, ha un lavoro ben retribuito e un contratto a tempo indeterminato. Una base solida sulla quale fondare l’economia domestica.
Ma anche Luisa, dal canto suo, vuole rimboccarsi le maniche e aggiungere un’altra entrata a quella del compagno. E così si mette a cercare tra gli annunci di lavoro postati sui vari motori di ricerca online. Fino a che non ne legge uno: «Cercasi personale di sala». A farle gola, più che la mansione, è il luogo e il nome noto del potenziale datore di lavoro. La posizione al centro di Giugliano, poco distante da casa sua, e il bar rinomato le fanno ipotizzare di aver finalmente trovato ciò di cui aveva bisogno: un’occupazione stabile e ben retribuita. Requisiti che dovrebbero essere sempre garantiti, ma che spesso nella periferia a nord di Napoli non vengono rispettati.
E così è anche stavolta: quando Luisa approfondisce i dettagli delle mansioni che dovrebbe svolgere e della paga che le verrebbe riconosciuta resta sbalordita. «Nove ore di lavoro “flessibili”, quindi prolungabili a chissà quante altre. Sei giorni su sette, compresi i festivi. Cosa avrei dovuto fare? Di certo non solo la cameriera. Dove ci sarebbe stato bisogno, io lì sarei dovuta andare: bancone, cassa, retrobottega, carico e scarico merce, pulizie. Insomma, tutto».
Ma la donna, che si definisce volenterosa, non si fa spaventare dai tanti compiti richiesti. A frenare la sua voglia di accettare il lavoro è la paga. «Ottocento euro al mese. Poco più di tre euro e cinquanta centesimi all’ora, senza considerare la dichiarata flessibilità».
Svelata la retribuzione, Luisa decide di non accettare. Incredula della proposta fatta, ragiona: «Non ho approfondito i termini contrattuali, ma sono certa che mi avrebbero inquadrata con un contratto part-time di quattro o cinque ore per rientrare almeno sulla carta nei limiti imposti dalla legge per quella cifra offerta, quando in realtà la pretesa era anche oltre un full-time. Un lavoro da schiavi. Dopo questa esperienza ho deciso di iniziare un corso da operatore socio-sanitario. Basta affidarsi a ristoratori locali, non pagano a sufficienza».
Il marito della donna, dispiaciuto anche lui dell’accaduto, decide così di sfogarsi in un post social, raccontando ciò che la moglie ha vissuto. In pochi minuti le righe scritte con la rabbia di chi vorrebbe solo che i diritti dei lavoratori fossero rispettati raccolgono tantissimi commenti. A rispondere all’uomo e mostrare vicinanza alla donna sono anche persone che hanno vissuto la stessa disavventura proprio in quel bar.
«In questa nota caffetteria cercano sempre personale, perché tutti scappano. Pretendono un lavoro assiduo, ma non sono disposti a pagarlo adeguatamente. Bisogna denunciare» scrive Barbara.