Quando si tratta di politica estera, tra Donald Trump e Kamala Harris l’elettorato americano sceglie il tycoon Repubblicano: è quanto traspare dall’approfondita analisi del Wall Street Journal che sancisce le difficoltà della vicepresidente Democratica nella corsa alla Casa Bianca, nei numeri e nelle intenzioni di chi si recherà alle urne negli Swing States, quegli Stati in bilico che determineranno il vincitore delle Presidenziali 2024.
Con la guerra tra Ucraina e Russia in corso e la crisi in Medio Oriente che si allarga al Libano e all’Iran, alla domanda su chi sia il più affidabile tra i due rivali la risposta è netta: con il 50% delle preferenze, Trump batte Harris (39%) sulla prima spinosa questione internazionale e non è da meno sulla seconda (48% contro 33%). Il vantaggio è reso solido anche dall’apprezzamento dell’elettorato indipendente sparso tra Pennsylvania, Michigan, Winsconsin, Georgia, North Carolina, Arizona e Nevada.
La sensazione è che il candidato del Partito repubblicano sappia come gestire il rapporto con il presidente russo Vladimir Putin, alla luce dei precedenti durante il suo primo mandato. Che non sia disposto, in caso di rielezione, ad esaudire le richieste del presidente ucraino Volodymyr Zelensky lo ha ribadito più volte: dall’inizio del conflitto, l’amministrazione Biden ha speso più di 100 miliardi di dollari in aiuti economici e militari. Trump e Zelensky si sono incontrati alla fine di settembre: il meeting sembrava destinato a saltare per alcune dichiarazioni piuttosto critiche da parte dell’ex presidente, salvo poi venire confermato senza particolare entusiasmo tra le parti. Trump va così a raccogliere i consensi di quella fetta di elettorato che preferirebbe vedere concentrati gli sforzi sulle priorità nazionali: America first, richiamando il programma avviato con il discorso di insediamento del 2017.
Quanto al Medio Oriente, Trump ha le idee ben chiare: «Israele deve finire ciò che ha cominciato». Così sembra pensarla la maggioranza degli americani interpellati dal WSJ mentre l’entourage democratico da una parte dichiara il sostegno all’alleato, dall’altra lo richiama a non superare certi limiti. Harris, in particolare, ha rilanciato più volte la necessità di un “cessate il fuoco” a Gaza e in Libano.
Il recupero di Trump ai danni della democratica trova terreno fertile pure tra le minoranze etniche e consolida una tendenza sottolineata da John Burn-Murdoch sul Financial Times di ieri. Nell’ultimo decennio la comunità ispanica del Sud piuttosto che quella asiatica californiana o quella afroamericana di Philadelphia hanno iniziato ad abbandonare il Partito democratico, al punto che nelle elezioni del 2020 i Repubblicani hanno ottenuto il miglior risultato in assoluto degli ultimi sessant’anni tra gli elettori non bianchi. Sono particolari di un quadro generale che potrebbero trovare conferma tra meno di un mese. Al netto di tutto questo, precisa il Wall Street Journal, è l’economia il punto al primo posto nell’agenda degli americani, secondo il vecchio adagio per cui – alla fine – si vota contando i soldi che si hanno in tasca. Il mandato di Biden ha potuto contare sulla ripresa produttiva dopo la contrazione provocata dalla pandemia di Covid-19 che ha intaccato l’ultimo periodo dell’amministrazione Trump, ma allo stesso tempo ha dovuto fare i conti l’aumento dei prezzi: se da una parte l’inflazione è tornata nel range registrato prima dell’impennata scattata nella primavera 2021 (a settembre era al 2,4%), per alcuni settori come cibo e trasporti il rallentamento è più debole.
Per Kamala Harris, in definitiva, è terminata la luna di miele con i numeri dei sondaggi: chi dava per scontato l’esito delle Presidenziali deve ricredersi. La vicepresidente, nel frattempo, ha reso pubblico il proprio certificato medico: il medico personale, il dottor Joshua Simmons, riporta che la sua assista «possiede la resistenza fisica e mentale richiesta per compiere con successo i doveri legati alla presidenza». Un messaggio destinato non tanto a tranquillizzare i suoi quanto a sfidare Trump che invece non ha condiviso il certificato sul suo stato di salute: una decisione in linea con il 2016.
Il tentativo di riaprire la questione sulla differenza d’età tra i due sfidanti (78 anni per Trump, per Harris saranno 60 domenica prossima) appare chiaro ed è ormai divenuta una ossessione per i Democratici che hanno fatto leva su questo fattore per costringere Biden a ritirarsi dalla corsa per la rielezione.