Saluta spalancando gli occhi e chiedendoti: ma la pasta di Gragnano è sempre così buona? Lo fa con un sorriso largo e gesti della mano che sono l’esatto contrario della noiosità compassata degli economisti di rango di cui fa parte di diritto con studi di matematica applicata tra Lisbona e Harvard. Mário Centeno è il governatore della Banca centrale del Portogallo, ma prima ancora è stato il ministro delle Finanze nella stagione delle riforme del lavoro, della scuola e della macchina per gli investimenti. Le riforme che hanno consentito di fare del piccolo Portogallo, ultimo della classe in Europa, quello che ora è: un Paese che detiene il primato della crescita e del debito abbattuto. È convinto che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca farà alzare l’Europa dal “sedile del viaggiatore” e crede nel Sud del Vecchio Continente come il potenziale Eldorado degli investimenti globali perché la grande scommessa è il Mediterraneo. Ha indossato la casacca del consigliere economico dell’ex premier socialista Costa, quella di ministro di peso e di presidente dell’Eurogruppo, ma non dismette mai l’abito del banchiere centrale. Riesce a dire, con il linguaggio rigoroso che appartiene al suo ruolo, verità “politiche” clamorose che ci riguardano molto da vicino.
Tra i grandi Paesi europei è l’Italia ad avere fatto la maggiore crescita di Pil dal pre-Covid a oggi. Siamo al 6% e non è poco. Il dato del Portogallo svetta con uno splendido +6,8%. Italia e Portogallo sono due Paesi del Sud Europa e sono tra quelli che fanno la maggiore crescita nel Vecchio Continente. Ora anche la Spagna si è messa a correre mentre la Germania e i Paesi del Nord Europa strisciano sul filo dello zero o di qualche decimale di crescita o di poco di più. Si sono invertite le parti in commedia. C’è consapevolezza che oggi è il modello mediterraneo a guidare l’Europa?
«È difficile definire un’idea di modello di questo tipo, è ancora più difficile farlo più specificamente per quello mediterraneo rispetto a qualsiasi altro modello. Non saprei quali criteri usare per definirlo il migliore. Questo, però, non vuol dire che non dobbiamo essere orgogliosi di quello che facciamo perché nei nostri Paesi abbiamo realizzato un certo numero di riforme e queste riforme danno oggi dei risultati. Questi sono fatti e sono sotto gli occhi di tutti».
Dureranno?
«Se guardiamo al futuro, penso che dobbiamo mantenere stabile questa situazione e che possiamo farcela. Questo, per capirci, significa continuare a fare riforme, continuare a crescere, ridurre il debito e, quindi, avvicinarci alla posizione di Paesi che hanno più libertà nel prendere decisioni. Perché il peso del costo del debito diventa meno oneroso e vincolante, lascia maggiori margini di manovra».
A proposito di Mediterraneo e di nuovi modelli da decifrare non sarà un caso che, dopo un quarto di secolo, per la prima volta da cinque anni il Sud italiano cresce più della media nazionale per esportazioni, Pil e occupazione?
«Riprendiamo il filo di quello che ho appena detto. Ci sono dei Paesi che stanno cercando di tenere bassi deficit e debito e che pensiamo potranno crescere più rapidamente. Ora non è detto che tutto ciò succeda, ma se vediamo che ci sono le condizioni giuste, è anche doveroso sottolinearle perché questi Paesi hanno bisogno di credere nella situazione nuova che si è creata. Questo vale per il Sud italiano».
Si spieghi meglio
« Voglio dire che ci sono oggi due motivi importanti su cui riflettere. Il primo riguarda una ritrovata stabilità finanziaria. Il secondo riguarda la parte strutturale e la dimensione più importante tocca l’istruzione e l’educazione. Noi siamo riusciti a fare alcune riforme nel mercato del lavoro e anche nel modo di gestire l’economia. Questi due elementi portano stabilita finanziaria che significa prevedibilità per gli investitori internazionali: sicurezza che non ci saranno cambiamenti per la politica fiscale. Significa che si avranno banche solide che possono offrire credito per famiglie e aziende. Questo credito deve essere utilizzato per finanziare lo sviluppo. Il contesto di stabilità politica italiana aiuta il processo riformista e fornisce elementi positivi di prevedibilità per gli investitori».
Sta cambiando, a suo avviso, il giudizio dei mercati sull’Italia?
« La situazione di oggi dell’Italia non rappresenta più un problema per l’Europa e questo fatto molto importante è il risultato delle riforme attuate come conseguenza delle scelte operate in Europa con il nuovo meccanismo di stabilità europeo e grazie alla Banca centrale europea che ha creato strumenti di protezione monetaria. La reazione europea comune al Covid ha reso nella fase successiva alla pandemia l’Europa più credibile e i Paesi del Mediterraneo hanno beneficiato più di tutti di tutta questa nuova situazione europea».
Tutto bene, allora?
« Bisogna dire come stanno le cose. Nell’affrontare l’emergenza del post Covid l’Europa ha creato condizioni di sviluppo in tutti i Paesi e ci sono stai benefici soprattutto per i Paesi del Mediterraneo. Questi benefici sono stati utilizzati bene e dovrà essere nostra responsabilità farlo con continuità
Le porto un altro esempio. Pernottamenti stranieri gennaio-luglio di quest’anno: Portogallo +14,8% pari a 5,3 milioni; Italia +9,5% con 15,4 milioni di pernottamenti di turisti stranieri in più, va bene anche la Spagna con + 5,4%. Non sarà un modello, ma il Mediterraneo tira. Ripeto: l’Europa ha creato le condizioni e lo ha fatto per tutti i Paesi, ma questi benefici si sono visti soprattutto nell’area europea del Mediterraneo. Sono benefici che continuano ad esserci e che noi dobbiamo continuare a sfruttare».
Ho capito bene: sta dicendo che al momento lo si sta facendo…
«Certo è ciò che è successo ed è vero che l’economia dei Paesi del Mediterraneo è in parte cresciuta grazie al turismo però il processo espansivo esprime un fenomeno più ampio di carattere strutturale dei quali quello turistico è uno degli indicatori importanti».
Ha ragione: la crescita delle esportazioni italiane è stata davvero importante, abbiamo raggiunto e superato il Giappone diventando il quarto Paese esportatore al mondo. Per la prima volta il contributo del Sud è stato rilevante. Abbiamo come Paese una posizione finanziaria netta positiva per 225 miliardi pari al 10,5% del Pil. Non sono bazzecole: è vero che il giudizio dei mercati sull’Italia è migliorato, ma non crede che dovrebbe migliorare ancora più velocemente?
«L’esperienza mi dice che se uno si muove nella direzione giusta e si ritiene che questo processo possa continuare, allora a un certo punto si arriva a una situazione in cui il miglioramento in atto viene riconosciuto in pieno dai mercati. È importante il numero dei passi o il salto che si sono fatti, ma soprattutto è importante mantenere la rotta. Per capirci, i dati positivi del surplus italiano del commercio estero sono rilevanti e, se si tiene la rotta, a un certo punto abbasseranno anche il debito. Questo è l’elemento importante da ricordare e tenere a mente».
Non conta, rispetto al giudizio dei mercati che per noi significa più interessi ingiustificati da pagare, che la disoccupazione in Italia è al minimo storico. Siamo al 6,1% che è quasi la metà del dato spagnolo.
«È vero, questi elementi non sono percepiti nella loro interezza, ma ci sono anche altri dati che non vengono colti come sarebbe giusto. Questa idea, ad esempio, che i giovani lasciano il Paese, che lasciano l’Italia, è un’idea che è presente anche in Portogallo, ma non è espressa nel modo giusto, non dice le cose come stanno, c’è un problema di percezione. Il numero di giovani che lasciano il Portogallo e il Sud italiano è più basso di quello dei giovani che lasciano la Danimarca e i Paesi del Nord Europa».
Quindi, mi sta dicendo, che è la percezione del fenomeno ad essere sbagliata?
«Sì, certo, è questo il problema. È la percezione che è sbagliata, e questa percezione bisogna farla cambiare».
Come?
«Una cosa molto importante è che tutti questi cambiamenti che ora portano benefici, non devono interrompersi. Perché se una narrazione si ferma, soprattutto in termini di livelli di istruzione, tutto può fare marcia indietro, ci si mette un attimo a tornare dove si stava prima. Non possiamo stancarci di seguire la giusta strada».
Quanto può aiutare il grande vantaggio energetico che rende il Mezzogiorno italiano attrattivo per i nuovi data center? Essere all’avanguardia nella ricerca sull’intelligenza artificiale come nelle scienze informatiche e gestionali, nella cyber sicurezza e così via, sono o no carte che possono sparigliare e fare cambiare quella percezione sbagliata che tanto nuoce?
«L’asset energetico è assolutamente un atout. È importante e si ricollega a una serie di elementi che, in questo contesto geopolitico complicato quanto quello economico internazionale, offrono al Sud italiano e al Portogallo un’opportunità storica di non perdere più i suoi giovani migliori. La situazione dell’Italia di oggi è una situazione di crescita, ma questa crescita deve durare. Ci sono tutte le condizioni perché duri, ma bisogna fare in modo che prosegua per altri cinque anni, e poi altri cinque, e poi altri cinque ancora. È possibile, dipende da noi».
L’Italia è tra i Paesi che hanno ridotto di più il rapporto debito/Pil rispetto ai livelli pre covid. Nel secondo semestre del 2024, rispetto al 2019, il Portogallo ha ridotto il rapporto debito/Pil di 18,8 punti, l’Italia è tornata praticamente ai livelli pre-Covid, la Spagna è ancora sopra di 4,7 punti, la Francia addirittura di 13. Questo confronto delinea, non crede, una traiettoria che può incoraggiare Portogallo e Italia?
«Non ho dubbi che i Paesi che hanno un debito pubblico oltre il 100% del Pil debbano iniziare o continuare a ridurlo anche perché non torneremo ai tassi di interesse bassi, a zero o addirittura negativi, e, quindi, ciò significa che se c’è il debito, questo costerà di più. Pertanto, tutti coloro che riescono a ridurre il debito saranno avvantaggiati».
L’Italia dove si colloca?
«L’Italia vive oggi una situazione più favorevole perché ha fatto politiche credibili insistendo nei comportamenti che seguono la giusta traiettoria. È stata la stessa cosa per il Portogallo. Il riconoscimento era sempre dovuto alle politiche messe in campo, non alle chiacchiere. Una risposta, però, di cinque anni non basta. Se si continua, ci sarà un riconoscimento nel tempo. Ho già detto quanti altri cinque anni servono. Ora voglio dire anche perché. La ragione è che bisogna combattere con i fatti la storia dell’Italia e del Portogallo. È proprio la nostra storia che ci può maledettamente fare facilmente pensare di avere finito, di avere completato un processo che è invece molto esigente in un quadro che non è semplice per nessuno. È proprio quello che non ci possiamo permettere».