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Trump guarda anche “a sinistra”

Trump guarda anche “a sinistra”



Le nomine di Donald Trump si stanno rivelando molto più ideologicamente variegate di quello che molti ritenevano. Certo, il presidente in pectore sta designando vari esponenti conservatori per ruoli chiave: Marco Rubio al Dipartimento di Stato, John Ratcliffe a capo della Cia e Pam Bondi alla guida del Dipartimento di Giustizia. Tuttavia, è interessante notare come, dall’altra parte, stia designando anche figure che, in un certo senso, guardano a sinistra.

Nominato segretario alla Salute, Robert Kennedy jr è stato storicamente democratico e, da candidato presidenziale indipendente, aveva attratto anche elettori tradizionalmente legati all’Asinello. Un discorso in parte analogo vale per Tulsi Gabbard, che Trump ha scelto come prossima direttrice dell’Intelligence nazionale: è stata a lungo deputata dem e, tra il 2013 e il 2016, fu anche vicepresidente del Comitato nazionale del Partito democratico. Il tycoon ha inoltre selezionato come segretario al Tesoro Steve Bessent: un ex socio di George Soros, che, in passato, ha finanziato Al Gore, Barack Obama e Hillary Clinton. Tutto questo, senza dimenticare la nomina a segretario al Lavoro di Lori Chavez-DeRemer: deputata repubblicana che ha avuto l’appoggio del sindacato degli autotrasportatori e che, alla Camera, è stata tra i pochi esponenti del suo partito ad aver votato a favore di un disegno di legge volto a garantire maggiori tutele sindacali ai lavoratori (il Pro Act).

Insomma, è chiaro che la nascente amministrazione americana si avvia a rivelarsi ideologicamente composita. E questo per una serie di ragioni. Innanzitutto, già durante la campagna elettorale, Trump era solito formulare un messaggio politico che fosse capace di trascendere i confini del solo conservatorismo: d’altronde, parte significativa della sua strategia era quella di rivolgersi non soltanto agli elettori indipendenti ma anche, se non forse soprattutto, ai democratici delusi. Una quota elettorale, questa, che si è rivelata decisiva soprattutto in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Ne consegue che, con queste nomine ideologicamente variegate, il presidente in pectore punta a riflettere la natura complessa e articolata della coalizione elettorale che lo ha riportato alla Casa Bianca.

In secondo luogo, è chiaro che Trump punta a spiazzare i suoi critici per disinnescare chi lo accusa di essere un estremista di destra. Infine, ma non meno importante, il suo obiettivo è rimarcare in positivo il fatto di aver scelto per ruoli chiave degli ex avversari che, nel tempo, si sono convertiti al trumpismo. D’altronde, il tema della “conversione politica” è molto caro alla strategia politico-comunicativa di Trump. Ed è stata una delle ragioni alla base della sua scelta di JD Vance come candidato vice: quel JD Vance che, nel 2016, si era mostrato assai critico del tycoon.

Certo, Trump si sta assumendo un rischio politico. Tali nomine “eterodosse” dovranno infatti essere ratificate al Senato. E qui i repubblicani, che hanno la maggioranza, potrebbero storcere il naso. Il presidente in pectore può però godere di un margine di manovra relativamente ampio, rivendicando il suo successo elettorale e, soprattutto, vincolandolo alla sua capacità di essersi rivelato politicamente trasversale. È proprio in questo che sta la forza di Trump. Ed è da qui che sta ripartendo, per sparigliare le carte e sconfessare alcune narrazioni macchiettistiche che hanno cercato di cucirgli addosso.





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