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Della verità di Angela non sta in piedi niente

Della verità di Angela non sta in piedi niente



Giovanni Longoni

Angela Merkel è come la Russia. Non tanto per la vastità fisica ma perché è, come diceva Churchill del Paese euroasiatico, un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma. Nemmeno il voluminoso libro di memorie in uscita martedì anche in Italia (Rizzoli) né la lunga intervista rilasciata dalla ex cancelliera a Mara Gergolet e Paolo Valentino dal Corriere della sera aiutano a chiarire chi sia stata davvero Angela Dorothea Kasner nei suoi anni di predominio politico sull’Europa.

L’autobiografia si intitola “Libertà” e fa il verso alla famosa copertina di Time del 2015 che la incoronava “Cancelliere del mondo libero”. Una definizione accettata supinamente dai media e dalla gran parte dell’opinione pubblica finché Angela è rimasta al potere ma che è stata presto soppiantata da critiche feroci una volta che la leader CDU ha lasciato la stanza dei bottoni. Qualcosa di simile era avvenuto con Barack Obama santificato dal Nobel e poi sbertucciato.

 

Ma all’americano, le castronerie (Libia, Siria, Crimea) erano state contestate subito e lui stesso aveva ammesso di aver fatto qualche errore. In particolare sostenne di essere stato trascinato nella guerra alla Libia dagli «scrocconi» Nicolas Sarkozy e David Cameron. La tedesca, al contrario, passava per leader più europeista anzi globalista e nella conversazione col Corriere non fa invece che ribadire concetti di realpolitik. Ad esempio, si erge a paladina degli «interessi tedeschi ed europei», come se fosse scontato che i primi coincidano coi secondi. E nega di aver cospirato per far cacciare Berlusconi da Palazzo Chigi spiegando che se un capo di governo cade è solo per motivi di politica interna. Giusto: Silvio è uscito di scena all’apparire di Salvini e poi di Meloni. E tuttavia dietro le dimissioni del Cavaliere il 12 novembre del 2011 ci sono state spinte – dei mercati, ovviamente, ma anche delle istituzioni – come hanno ammesso a distanza di tempo quasi tutti i protagonisti del vertice G20 di Cannes.

Summit preceduto dal vertice europeo con il famoso (e vergognoso) siparietto fra il presidente francese e la cancelliera sulla credibilità del governo Berlusconi, con risatine da parte dei due leader e risate da parte della claque della stampa internazionale. Sarkozy stesso lo ha ammesso in un suo recente tomo di memorie; Sarkò, cioè lo «scroccone» secondo la definizione di Obama, colui che spinse più di tutti per l’intervento militare in Libia e che oggi è indagato dalla magistratura francese perché potrebbe avere ricevuto finanziamenti illegali proprio dal Paese governato al tempo da Muhammar Gheddafi. Il marito di Carla Bruni così ricordava nel 2023 il vertice di Cannes: «Ci fu tra di noi (Sarkozy, Merkel e Berlusconi ndr.) un momento di grande tensione quando dovetti spiegargli che il problema dell’Italia era lui! Angela ed io eravamo convinti che fosse diventato l’elemento di rischio principale per il Tesoro italiano». E qualche pagina più avanti: «Abbiamo dovuto sacrificare Papandreu e Berlusconi nel tentativo di contenere lo tsunami di una crisi finanziaria il cui epicentro era nel cuore dell’Europa». Una versione che sostanzialmente collima con quelle del premier spagnolo Zapatero e di Timothy Geithner, ministro del tesoro di Obama.
Dovrebbero bastare questi nomi per sostenere che la Merkel è reticente ma si potrebbe anche aggiungere la biografia del Cav scritta con Alan Friedman che a Radio24, nell’ottobre 2015, disse: «Napolitano ha fatto una telefonata molto strana, molto particolare, a Barroso durante il vertice di Cannes e Barroso capisce che Berlusconi sarebbe stato sostituito. Insieme a francesi e tedeschi chiedono aiuto alla Casa Bianca per far cadere Berlusconi. E anche Napolitano era al telefono con Merkel, Barroso e Sarkozy. Napolitano era la sponda domestica di questo intrigo, aveva già contattato Monti».

Merkel nega tutto e assolve Napolitano, che dice di aver stimato molto. Ma la poca franchezza della ex cancelliera emerge nello spiegare il suo rapporto con Putin. Chiedono Gergolet e Valentino: perché nel 2015, quando era chiaro chi fosse realmente il dittatore russo, non ha bloccato il progetto del gasdotto Nord Stream2? «Consideravo mio compito assicurare che l’economia tedesca potesse sfruttare la possibilità di avere gas a buon mercato. E vediamo oggi quali conseguenze hanno per la Germania gli alti costi dell’energia». Nessun accenno, e nessuna domanda peraltro, sul fatto che nel frattempo il suo governo aveva dato un deciso impulso alla chiusura delle centrali atomiche tedesche per non aver saputo gestire il panico teutonico dopo l’incidente di Fukushima. No, Angela, non ce la stai raccontando tutta. Le bugie hanno le gambe corte e a volte il sedere grosso.

 

 



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