Povertà, lavoro nero, disperazione, emigrazione e morte tragica per provare a sbarcare il lunario. Questo lo spaccato di vita delle tre vittime dell’esplosione di ieri pomeriggio nella fabbrica abusiva di confezionamento fuochi d’artificio in contrada Patacca, 94 a Ercolano. Solo ieri sera tardi l’ufficialità dei profili, poiché, da quanto riferito dagli inquirenti, i familiari sarebbero riusciti con difficoltà a identificare i corpi perché totalmente disintegrati. A parlare di quelle tre vite giovanissime sono state proprio le parole strazianti di mamme, mogli, sorelle. Un dolore familiare senza fine.
Si tratta del 18enne Samuele Tacifù, di origini albanesi ma in Italia da ormai dieci anni, residente a Ponticelli, e delle due gemelle 26enni Sara e Aurora Esposito, provenienti da Marigliano. Tre giovani, lui con una figlia di appena quattro mesi e le due sorelle con figli minori, che per poter portare il piatto a tavola hanno accettato un lavoro che li ha uccisi, nella maniera più tragica. A parlare, tra urla e pianti, Anna Campagna, la suocera di Samuele.
«Ci hanno chiamato i carabinieri e siamo corsi subito qui – ha urlato – Samuele era mio genero, sposato con mia figlia 17enne. Hanno una bambina di quattro mesi e lui lavorava per lei e la moglie. Un bravissimo ragazzo, un lavoratore. Era in Italia da 10 anni e aveva tutte le carte a posto. Aveva già svolto altri lavori, ma non lo pagavano per cui ha fatto pure una vertenza all’ex titolare. Faceva il magazziniere, si è sempre spaccato la schiena ma qui sei tutelato solo se spacci o vai a rubare. Poi per un bravo ragazzo queste sono le possibilità, è morto bruciato vivo, era al suo primo giorno di lavoro».
La signora Campagna poi ha spiegato che i due ragazzi con la bambina di quattro mesi vivevano in casa con lei, a Ponticelli. «Vorrei dire alla Meloni – ha tuonato – che io con il reddito di cittadinanza porto avanti una famiglia di cinque figli. Come facciamo che non abbiamo nemmeno i soldi per fare il funerale a questo ragazzo? Ce lo paghi lo Stato. Io so solo che ora mia nipote crescerà senza il padre e mia figlia, che ha solo 17 anni, ha già una vita spezzata. Anche le due ragazze morte erano madri single, lavoratrici per i loro figli piccoli. Mio genero ci ha chiamato alle 13, ci ha detto che stavano mangiando un panino. Poi un’ora dopo il dramma. Tre famiglie distrutte, chi ci darà indietro i nostri figli?».
Dall’altra parte, a due passi dallo stabile esploso c’era una donna di mezza età che per diverse ore non ha fatto altro che urlare due nomi: era la madre di Sara e Aurora, le sue gemelle 26enni rimaste uccise dall’esplosione di polvere da sparo. «Aurora, Sara – urlava – dove siete? Come faccio senza di voi?». Poi sono arrivati altri parenti: la 17enne, moglie di Samuele e un’altra sorella delle due gemelle. Grande disperazione tra urla, svenimenti e invettive contro un uomo: «Dovevi morire tu». Dalle testimonianze raccolte, pare si riferissero al proprietario dello stabile adibito a laboratorio abusivo per il confezionamento di fuochi d’artificio. La sua posizione è al vaglio degli inquirenti: da accertare se fosse o meno al corrente dell’illecita attività.
Le testimonianze
Secondo quanto dichiarato ieri da alcuni esponenti della stampa locale presente sul posto – ma la circostanza è tutta da verificare – quello stabile sarebbe stato occupato abusivamente fino alla scorsa estate da un uomo affiliato al clan Birra e successivamente, in seguito a una denuncia in Procura, lo stesso immobile sarebbe stato poi liberato e riconsegnato ai reali proprietari, riconducibili alla famiglia Punzo, molto nota nella zona. Tuttavia, non è chiaro se l’attività illegale di fuochi d’artificio facesse capo a loro o a terzi che avrebbero preso in locazione la struttura adibita a opificio senza che i proprietari ne fossero a conoscenza. Lo accerteranno le indagini nelle prossime ore. Intanto, su disposizione della Procura, la struttura o meglio, ciò che ne resta, è stata sottoposta a sequestro. «Questa attività l’avevano messa in piedi da poco, qualche giorno – ha detto una cognata di Samuele – e mio cognato aveva trovato questo lavoro tramite amicizie. Un lavoro maledetto in cui ha trovato la morte a soli 18 anni. Era al suo primo giorno di lavoro».